lunedì 30 marzo 2015

I rapporti sociali sono una guerra tra coloro che cercano di farsi capire e quelli che pensano di aver capito.

domenica 29 marzo 2015

Quando?

Nelle nostre vite tutti abbiamo bisogno che qualcuno si occupi di noi, almeno per un certo tempo o in realtà per sempre. Abbiamo veramente bisogno di qualcuno che ci voglia bene, che ci osservi, che ci ascolti e che decida per noi il meglio o ce lo indichi, con mano ferma e tanti sorrisi. Quelle persone saranno le più importanti della nostra vita, ci segneranno indelebilmente, nel bene e nel male, e forse passeremo molto del tempo delle nostre giornate a cercare di compiacerle, di essere come loro o, al contrario, a cercare di fuggire il più lontano possibile per "no, non siamo uguali, non ci somigliamo". 

Quando abbiamo cominciato a non volerci più bene? Quando avete deciso di non occuparvi più di me? Quando mi avete lasciata sola? Quando avete deciso che non saremmo più stati dalla stessa parte ma che, invece, io starei stata una cosa ed ognuno di voi un'altra?

Tutti contro tutti, nessuno si fida più di nessuno. 
Tutti ad osservare i non detti, a giungere a conclusioni senza chiedere e chiedersi il famoso perchè delle cose.

Quando abbiamo smesso di essere felici e sciolti tra di noi? Quando abbiamo deciso di essere degli estranei che passano l'uno nella vita dell'altro senza farne parte veramente? Quando abbiamo deciso di essere felici con altri perchè tra di noi non lo eravamo più?

Io forse non ero pronta. Certamente non lo ero. Tuttavia il tempo passa e, come sempre, lava via le incertezze e ti trascina nella quotidianità nella quale bisogna agire, scegliere, camminare, parlare... Senza fermarsi mai perchè fermarsi vuol dire perdersi. 
Come è stato e quando è stato non ti interessa più, devi continuare a camminare, vento in faccia e sangue nelle vene.

Devo ammettere però che io non sono brava: ci sono momenti in cui, anche se il mio corpo non è fermo e continua nelle sue attività quotidiane, la mia mente subisce una scossa e torna indietro, ripercorre questioni e momenti, si pone domande e, per un attimo, fonde passato e presente e mi domando se la realtà che sto vivendo è quella giusta, se questo non sia un mondo costruito dalla mia mente dal quale devo solo svegliarmi.
Mi pare di vedere la realtà vera, quella che non ha subito "quel momento" che ci ha cambiati per sempre.
Questo flash mi lascia inerme, occhi sbarrati, disorientata, come quando ti svegli da un sogno sconvolgente e fatichi a capire dove sei, se nel luogo del sogno o in un altro, cosa sei, se la persona del sogno o un'altra, e chi fa parte della tua vita. Dopo qualche istante realizzo che la realtà non è un sogno e che era il sogno a fingersi realtà.

Tutte quelle domande non hanno più senso e non ha nemmeno senso chiedermi perchè la mia mente continua a tornare indietro, perchè continui a farmi ripercorrere i fatti come se ci fosse un dettaglio che non capisco, che non ho ancora notato e che potrebbe rispondere anche al resto. Non importa più, tutto quello che vorrei è che la mia testa fosse dov'è il mio corpo. E basta. Quando capirai che ciò che hai da mostrarmi non importa più? 


La domanda vera, importante per me più di qualunque altra, quella che resta, alla fine, è solo una... Non è perchè, non è come, non è quanto ma è ancora una volta quando, anche se non voltato più indietro, ma in avanti, là dove Io voglio andare:

Quando smetterò di soffrire?

#Racconto 14 - Monumento rosso

Erano tempi difficili. Lui era solo un bambino e la cosa che amava maggiormente era ridere. Una tra quelle che lo faceva ridere tanto era giocare con me. Anche in quelle dure giornate di fine estate correvamo spesso nel cortile a far scappare le galline.

Il vento tra i capelli, il profumo dei fiori e l'azzurro del cielo che si specchiava nei suoi grandi occhi vispi. Era un bimbo coraggioso e ora che suo padre non c'era più gli toccava essere forte. Suo fratello, prima di andare con gli altri sul monte gli aveva dato una pacca sulla spalla e, con un sorriso dolce, gli aveva detto che tutto sarebbe finito presto.

Quel giorno l'aria era piuttosto fresca. I partigiani sul Grappa resistevano e Don Nicolino dava loro una mano. Grand'uomo quel don, chissà se ce ne sono ancora di grandi come lui. Non troppo alto, con le mani ed il viso provati dalle disgrazie di quei tempi, ma con una forza nella voce e nei gesti che anche quelli con la voce dura e la divisa scura, anche loro, non potevano che rispettare la sua forza. Alle loro minacce lui rispondeva sempre con uno sguardo più forte, come se gli schiaffeggiasse.

Quella mattina Don Nicolino lo fece chiamare e gli consegnò una lettera per Mario: "s'è importante", disse. Lui fece un cenno con la testa, la prese e la mise in tasca. Nelle sue mani quella lettera sembrava grande e pesante.

C'erano troppi soldati in giro. Si muovevano per le campagne e avevano presidiato il paese. Alcuni avevano un grande foglio che ispezionavano con attenzione. Con cautela riuscimmo a evitare di essere fermati... Piano, in silenzio, passi leggeri, anche il respiro tremava... E poi via. Finalmente. Chissà cosa stavano tramando. Ci allontanammo velocemente e lo vidi sorridere. No! Eccone altri, bloccano la strada! Che fare? Sono tanti. Il sorriso si tramutò in una smorfia. Al bivio... Ma così allunghiamo di tanto! Non ci sono alternative, slittiamo sul selciato e corriamo.

Il vento ci affaticava e la carrozzeria scricchiolava. I suoi piedi non arrivavano con facilità ai pedali ma con la punta delle scarpe spingeva forte. Lo sentivo ansimare e soffrire per i muscoli che tiravano sempre di più ad ogni pedalata. Diavolo, erano vicini! Corri corri corri! Scivolavamo sulla brecciolina ed io cominciavo ad essere pesante. Sì, finalmente la strada si faceva in discesa. Teneva forte il manubrio che vibrava sotto le sue mani. Potevamo arrivarci. Ecco, ancora poco.

Ce l’avrebbe fatta ad arrivare là dove non l’avrebbero più preso, dove sarebbe scomparso tra gli alberi insinuandosi nel nascondiglio che tante volte avevamo visto insieme e che lui stesso aveva aiutato a scavare e a coprire con quanti più rami le sue esili braccia potevano portare… ma ce li trovammo davanti, erano già lì a fare mattanza.

A nulla servì lasciarmi per terra e cercare di nascondersi dietro un masso che il Grappa sembrò mettergli accanto per dargli una mano, per proteggerlo. Uno si voltò, vide i rami muoversi e poi più nulla. Non c’era più luce nei suoi occhi.

Eravamo sfuggiti ad altri pericoli… ma quel rastrellamento lì portò via tutti. Sono caduta accanto ad un albero e sono rimasta lì, a piangere il suo sangue che il monte presto assorbì. Dormiva, coperto di rosso vermiglio...

Sono rimasta lì a guardarlo fino a quando qualcuno non l’ha portato via. Oggi l’albero mi ha fatta sua, mi ha presa nel suo tronco, mi ha raccolta da terra e ora faccio parte del Grappa anche io. Ora, anche io, sono rossa e il rosso mi divora ogni giorno di più. Non ero altro che la sua bicicletta, ora sono un monumento al suo ricordo che chissà se chi passa, tra le tante foto, serba ancora.




martedì 24 marzo 2015

Accetto critiche, non consigli

C'è poco da fare: tutti si sentono sempre in dovere di farti sapere come loro agirebbero in determinate situazioni, tutte e dei più disparati generi, dandoti dei consigli assolutamente non richiesti.

Da oggi uno dei miei motti sarà "accetto critiche, non consigli".

Rivendico la libertà di sbagliare e, dopo al massimo, di ricevere sane critiche che possono senz'altro aiutare a crescere. 

Anche accettare consigli che in realtà abbiamo richiesto potrebbe rivelarsi una fregatura... Non è meglio sbagliare da soli? 

venerdì 20 marzo 2015

Lontani

La peggiore lontananza non è quella fisica. Si può essere lontani eppure sentirsi infinitamente vicini, infinitamente... Perché la vicinanza non è mai abbastanza.
La peggiore lontananza è quella di quando si è nella stessa stanza, occhi negli occhi, sorridendosi persino... Eppure ci si sente così lontani. Come se l'anima guardasse dall'altra parte.
Come si attira l'attenzione di un'anima? Come si può entrare in connessione con lei? È così naturale che quando mi domando come si faccia non riesco a spiegarmelo... E finisco per non riuscire a farlo.
Non è una cosa che si può spiegare: la connessione avviene, c'è e si sente... Siamo Insieme.
Allo stesso modo, quando manca, senti un vuoto profondo, un qualcosa di scuro. Ti senti incompleto e incompreso. Distante da tutto, solo e arrabbiato.
Mentre noi sorridiamo le due anime restano lì a guardarsi... O guardano altrove.

Quadro di Charlotte Atkinson


giovedì 19 marzo 2015

Il mio essere si riassume bene nell'immagine di una vecchia Fiat 500 rossa che desidera essere un carro armato laccato magenta.
Con tutte le complicazioni del caso.

lunedì 9 marzo 2015

Il Compromesso

Nel giudicare se stessi ci si trova a combattere contro due schieramenti paralleli che hanno ognuno i propri estremi. Come se ci si trovasse in un Parlamento bipolare in cui ogni parte rappresenta una parte della popolazione (in questo caso del giudizio) con le proprie esigenze e con i propri interessi. 

Bisogna comprendere subito che per giungere ad un vero giudizio di se stessi si dovrà tendere ad una più equilibrata possibile "combo" tra le due parti: l'Autogiustificazione e l'Autoflagellazione. è necessario cioè un Compromesso (come nella politica democratica).

L'Autogiustificazione è composta da giudizi che riguardano la nostra soggettività e tende verso il suo estremo, di contro l'Autoflagellazione è composta dall'oggettivo, che tende al suo. 


Per arrivare ad una fruttuosa e giusta autocritica la cosa più sbagliata è cadere nei facili estremismi.
Facciamo un esempio. 


Immaginiamo di essere a scuola e di essere chiamati ad un'interrogazione alla fine della quale ci viene assegnato un voto medio.
Il professore ed il suo giudizio rappresentano l'oggettivo: egli valuta il più possibile puntualmente le risposte che abbiamo dato alle sue domande e ci recrimina magari il fatto che se avessimo studiato meglio avremmo avuto un risultato migliore (il fatto che anche il professore abbia nel suo giudizio una componente soggettiva è un discorso a parte che dovremmo escludere, ma se vogliamo può tendere a nostro vantaggio in questa sede perchè è un fattore che non possiamo controllare).
Quando torniamo al nostro posto cominciamo a esprimere il nostro punto di vista: a quella domanda avrei saputo rispondere se mi avesse dato il tempo, questo non l'abbiamo studiato, io ho risposto correttamente ma lui non ha capito... Eccetera. Noi siamo in questo momento il soggettivo.


Gli estremi (ai quali non dobbiamo tendere) sono rappresentati nell'oggettivo dal "se avessi detto, se avessi fatto" e nel soggettivo dalle giustificazioni fantascientifiche, cioè quelle che non esistono nella realtà e che accampiamo per giustificarci ai nostri occhi e a quelli degli altri. Ora pensiamo ai due protagonisti del nostro esempio come due elementi per il nostro autogiudizio. La prima cosa migliore da fare è non autoflagellarsi arrampicandosi sul "dovevo, potevo, sapevo" e sul "se avessi detto o fatto", dato che oramai la cosa è andata ed è passata e piangere sul latte versato è il modo migliore per autodistruggersi. La seconda è non autogiustificarsi trovando scuse su scuse inventando dettagli che rendono l'autogiustificazione inespugnabile: noi vogliamo essere giusti e ciò che si allontana da ciò che è scienficamente dimostrabile di certo non ci aiuta! Non dobbiamo allontanarci dal vero nè per cullarci nella depressione e nè per sentirci superiori. Dobbiamo tendere, come in un'operazione matematica, allo zero. Come se l'autoflagellazione si trovasse alla sua sinistra tra i numeri negativi e l'autogiustificazione alla destra tra i numeri positivi. Noi dobbiamo camminare verso il centro. Per carattere tenderemo invece a camminare più spesso in un estremo o nell'altro (personalmente mi aggiro molto bene nell'autoflagellazione).   

Ora vediamo con facilità che cosa vuol dire fare una "combo" dell'oggettivo e del soggettivo. 
Altri due esempi. Se dico (partendo dal presupposto che sto dicendo il vero) "ho studiato nonostante avessi gli operai in casa", "ho studiato" è l'oggettivo, "nonostante avessi gli operai in casa" è il soggettivo. Al professore interesserà solo l'oggettivo ma noi possiamo e dobbiamo essere fieri di entrambi. Allo stesso modo, se dico "non ho studiato perchè avevo gli operai in casa benchè probabilmente ci sarei potuto riuscire", l'oggettivo è "non ho studiato" il soggettivo estremizzato è "perchè avevo gli operai in casa", il giudizio è la parte finale, cioè "benchè probabilmente ci sarei potuto riuscire". Il giudizio finale è certamente negativo ma non dobbiamo autoflaggellarci per tale risultato negativo facendolo diventare un "oggettivo estremizzato" ("sono stato uno stupido per non aver studiato, adesso il professore mi metterà un brutto voto o mi boccerà e se avessi studiato questo di certo non sarebbe accaduto") e neppure esaltare il soggettivo estremizzato e cioè il fatto che "effettivamente avevo gli operai il casa e "probabilmente" comunque non sarei riuscito".

Il giusto, come sempre, si trova nel mezzo e ciò che ne consegue può non piacerci ma allo stesso modo non è una buona ragione per allontanarsene.
Il giudizio il più possibile combinato tra oggettivo e soggettivo, paradossalmente, è ciò che è più "oggettivo" nel senso di più aderente alla realtà composita di azione e reazione, lavoro e risultato. Questo ci aiuta a non curarci del risultato finale (il voto che alla fine abbiamo preso all'interrogazione) ma, al contrario, di curarci meglio e con più attenzione del giudizio di noi stessi per "stare apposto con la coscienza" e sentirci a prescindere (dal risultato) soddisfatti di noi. O per comportarci meglio la prossima volta per consentirci di essere contenti del nostro operato in futuro (oltre che dell'eventuale giudizio positivo).



 Grazie a Silvia.


martedì 3 marzo 2015

Datti Tregua


Datti tregua, amica mia, datti tregua. 

Smettila di pensare che non sei buona a niente e che non riuscirai in niente. Concentrati a considerare splendente la tua vita, come spesso riesci a fare se non ti soffermi su ciò che non va e che sei certa che non andrà.

Datti tregua.

Pensa che puoi andare avanti, nonostante tutto, e che avanti non sarà un granché ma è sempre meglio di dietro, dopo tutto.
Pensa anche che benchè tu sia più dietro di dove vorresti essere alla fine questo non fa di te una persona diversa... Una persona che la te di 5 anni fa schiferebbe, non riconoscerebbe e non vorrebbe essere. 

Datti tregua.

Pensa che ognuno ha le sue fortune e tu hai le tue e che le tue sono tante di più di quelle che gli altri possono vedere. 
Smettila di pensare che più in basso di così per te sarebbe stato difficile. Avresti potuto fermarti, avresti potuto cadere e farti più male. Alla fine hai combattuto e qualche bella battaglia l'hai vinta e molto bene. 

Amica mia, fidati, devi darti tregua.

Smettila di considerare solo ciò che ti fa male e pensa che va così. Non come deve andare, non come può andare, non come andrà. Solo come va. E che, alla fine... Non importa... Perchè tu vai bene così. Stai andando bene. 

Datti tregua! 

Con Tizio, Caio, Sempronio... Tu vai bene! 
In quella faccenda e quella e quell'altra, tu vai bene! 
E pensa a questo e quello e quell'altro e che vai bene. 

Pensa a tutto ciò che sei veramente e non dimenticarlo, non dimenticarlo mai.

Datti tregua. 

Datti tregua, amica mia.