martedì 6 maggio 2014

Caro Diario

"Caro Diario che mi ascolti
I tuoi fogli sono molti

Ma i miei giorni sono tanti

E i ricordi sono canti

Li racconto, li rivivo

Li ricordo se li scrivo

E se non ricordo più

Li racconti tu"


Ho voluto cominciare questo post con questa filastrocca perchè è quella con cui, in un (ormai non più tanto) famoso programma per bambini della mia generazione, lo gnomo protagonista chiudeva la puntata dopo aver raccontato al suo diario ciò che era successo... Era un must, il racconto, in quel programma... Tanto è vero che in uno "spin-off" il nuovo personaggio usava un librone... Ma vabbhè, non divaghiamo. 
Insomma, questa filastrocca, mi convinse, da bambina a scrivere un diario... Esperimento fallito perchè ero troppo pigra e, forse sopratutto, la mia vita era troppo poco interessante per poterci scrivere qualcosa, giornalmente o anche a periodi più lunghi. Così lasciai perdere... 
Ma a 13 anni ebbi un'intuizione: un giorno mi resi conto la mia vita stava cambiando e mi stava portando cose nuove, che mi avrebbero a loro volta portato a non essere più quella di prima. Mi venne voglia di raccontare ad un diario, ormai telematico, ben segretato da un prototipo di password per file word (ero una ragazzina dalle mille risorse), solo gli episodi  più interessanti della mia vita da adolescente, i gossip diciamo. La cosa andò avanti per un po'... Dalla seconda media, più o meno, arrivai poi alle superiori quando raccontavo al mio diario le difficoltà del cambiamento e, in particolare, delle difficoltà del nuovo "livello scolastico", molto più alto, che, mi rendevo conto, avrei dovuto affrontare per molti anni. In quel momento il mio diario non fu più gossip ma scuola, solo scuola. E non compagni (compagnE nel mio caso, eravamo tutte ragazze) ma professori, compiti, verifiche, materie... studio insomma. La mia routine era diventata quella, fu difficile... All'inizio piangevo tutti i pomeriggi ma, nonostante le suppliche di mia madre di cambiare classe o scuola, io decisi di affrontare tutto. 
Il mio diario iniziò a svuotarsi... Lo studio non era così interessante e le mie compagne nemmeno. 

Poi arrivò un momento, molto preciso, in cui smisi di scrivere... L'ultimo frammento recita "oggi non mi va di parlarne". Poi più niente. Arrivò in quel momento della mia vita qualcosa che cambiò tutto, la ruppe e l'unica cosa che mi rimase era la scuola. Certo, le mie amiche di sempre erano ancora con me e mi hanno aiutato come potevano a farmi pensare ad altro. Ma io, che ero già piuttosto chiusa e mi ero un po' aperta l'ultimo anno di scuole medie, tornai a chiudermi in me ed in casa... A studiare. Tutti i giorni, per tutto il giorno. Dalla mattina alle 8 alla sera alle 8. Non facevo altro che compiti. I professori certo non me ne fecero mai mancare. Avevo perso tutto. Avevo perso me, la mia quotidiana serenità e il Sorriso, quello sincero e non quello "ottimista". L'unica cosa che era lì, immutabile, era la scuola, gli orari dei professori, le materie, i libri e i compiti. Ognuno di essi poteva, certo, cambiare un po' ma nella mia vita erano tutti lì, ad indicarmi cosa fare, come dovevo vivere la mia giornata.

Passarono gli anni e la scuola accompagnò sul suo finire qualche "problema adolescenziale" con i ragazzi. Ero cresciuta e, forse, mi stavo aprendo di nuovo. Non ero felice, ma vabbhè, la felicità, pensavo spesso, è un'utopia. "L'importante è la serenità", il motto di mia madre.

Finita la maturità mi sentivo un persona nuova. Un nuovo taglio di capelli accompagnò questa sensazione assieme ad un simpatico e agghiacciante viaggio da sola con le mie amiche. Essì, "eravamo fatte grandi".
Quasi dimenticata la vecchia, una nuova nube nera si affacciava però al mio orizzonte... E mo' che faccio? Inutile dire che fare i test d'ingresso con domande che potessero anche solo lontanamente contenere riferimenti alla matematica, per una del classico, si mostrò un disastro. 
Tuttavia mai ringraziai tanto Iddio per avermi fatto ciompa in matematica quanto quando mi ritrovai a Giurisprudenza e incontrai uno splendido (e non vado per eufemismi) ragazzo che riuscì (forse a culo, solo per conquistarmi? Alcuni storici ancora se lo domandano) a vedere oltre lo smarrimento di una nuova studentessa e oltre i sorrisi di circostanza da mostrare ai nuovi amici... nei miei occhi lui vide la mia profonda tristezza. Ero una ragazza spezzata, uno zombie che studia e parla parla parla, dicendo cose, mai però fuori dalle righe... che si nasconde dentro i suoi maglioni larghi e svasati ma che sta sempre a schiena dritta. Se la vide davvero, quella tristezza, quando mi disse "tu hai degli occhi tristi" forse, come detto, non lo sapremo mai (Amore, si scherza!) ma certo è che subito dopo che lo disse si accorse che aveva ragione... E me ne accorsi anche io.

Potrei ovviamente continuare ma il tempo corre e il dovere incombe. 
Continuerò questa storia... Forse.



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