mercoledì 31 luglio 2013

Il destino di Edipo

Quella oscura voglia di far pace con il destino. Oppure di sfuggirvi.
La consapevolezza di non poter far niente. E la paura di non aver fatto qualcosa.
Ti chiedi quando finirà come se fossi sicuro che un giorno finirà. E sentire che non finirà mai.
Sapere che Edipo ed altri tentarono venendo beffati. E sapere che Edipo e gli altri non sono altro che il misticismo umano.
La ragione contro la paura può qualcosa. E non può nulla.
È come autocastigarsi. Oppure è piegarsi saggiamente al Destino.
È il destino dell'uomo. Oppure la sua spiegazione.
Oppio o fede
.


mercoledì 24 luglio 2013

L'acrobata

Quando mi metto a letto stanca e con qualche preoccupazione, triste e angosciata, chiudendo gli occhi, mi viene sempre in mente l'immagine di un'acrobata, uno di quelli che si mantengono al trapezio con le gambe, a tre metri d'altezza. È pronto a lanciarsi, a fidarsi di altre braccia... forse non vede l'ora di stringere ed essere stretto ma per quell'attimo è lì ed è lui, solo, come da solo salterà.
Mi sento un po' lui. Visualizzo immediatamente il dolore che la pelle delle gambe, nuda, deve provare, avvinghiata a quell'asta di legno, a reggere tutto il peso; sento la vertigine nelle ossa, sento la testa pesante che dondola insieme alle braccia che penzolano con un leggero formicolio alle dita. Non so perchè ma è sempre la stessa immagine, per me è come se fosse una liberazione.
Mi piacerebbe farlo una volta... Ma non sarebbe certo una liberazione, non la vivrei come tale, è ovvio.
E allora è ancora bene immaginare, visualizzare, concentrarmi sui dettagli delle sensazioni di quel corpo che penzola lì in alto, lontano da tutti che stanno a guardare... conta solo su di sè, sulle sue gambe, libero di poter chiudere gli occhi e sentire il sangue affluire al cervello, sentire il caldo, ma anche l'aria tra i capelli, le dita rilassate verso la terra a dimostrazione che non la toccano più: è in un'altra dimensione, l'acrobata, libero, per un attimo, nell'aria. 

E allora... Buonanotte.



martedì 23 luglio 2013

Un'altra cosa che non avrei voluto imparare: la verità è che il chiarimento serve per andare avanti e non per chiudere, per chiudere non serve alcun chiarimento: basta allontanarsi, inesorabilmente.

Ma se c'è ancora voglia di chiarirsi, di parlare... Perché chiudere? E se non c'è perché fingere? Per non rinunciare alle abitudini? Troppi perché, troppe cose che non ho ancora capito.

martedì 16 luglio 2013

L'ambrosia degli Uomini

Da bambini eravamo affascinati dagli ambienti magici di principi, streghe, gnomi e boschi incantati. In quei luoghi trovavamo una realtá lontana e dei codici nuovi, nuove tradizioni, nuove regole, nuove prove di coraggio, nuove proibizioni e punizioni. 
In quei luoghi una piuma era simbolo di leggerezza e veniva utilizzata dalle fate o era simbolo di poesia e la usavano i letterati. In quei luoghi i fusi diventavano simbolo di maledizione, un fagiolo diventava simbolo di magia e di mondi nuovi, i rospi di principi e i cigni di principesse. Storie... Come quelle dei piú lontani uomini, ingenui come bambini, per i quali la mela era perdizione, il leone forza, la volpe astuzia, la lira arte, le pelli di animali coraggio. 
I simboli hanno sempre costellato la storia degli uomini. Ne siamo tutt'oggi circondati anche se non sono piú legati, per la maggior parte, a mondi fantastici quanto ad utilitá commerciale, alcuni, o a simboleggiare una tradizione scomparsa, oramai inconcepibile, altri. 
I simboli non sono altro, se ci pensiamo, che sentimenti, desideri ed emozioni che si fanno oggetto, sono un codice per pochi accomunati dalla conoscenza del Significato, del quale si é sempre alla ricerca. Allora il simbolo diventa il codice di due amanti, di un gruppo di amici, di una famiglia, di una casata, un paese, una cittá fino ad arrivare alla nazione o al continente. 
Alcuni eruditi sostennero e sostengono che certi simboli accomunano tutti gli uomini, come archetipi che viaggiano nelle loro menti attraverso la storia. 
Gli uomini di simboli hanno bisogno perché hanno bisogno di mistero esattamente quanto ne hanno di sentire sotto le loro mani e vedere chiaramente nelle loro immaginazioni la raffigurazione precisa dell'amore, dell'onore, della fede, della giustizia, del male e del bene. L'uomo deve avere qualcosa di vero da idolatrare, un codice vero e sicuro al quale rifarsi quando le parole non bastano o non sono certe e chiare. I simboli sono, per gli accomunati, per gli eletti, certezza. 
Chi tenta di scardinare i simboli diventati consueti non fa altro, in realtà, che sostituili con altri, come se i simboli fossere un cibo necessario per elevarsi, come l'ambrosia degli déi... Elevarsi ad un facente parte di un tutto, di un mondo autentico, di una bellezza e chiarezza collettiva ai quali ci si sente ammessi ed accettati, nei quali ci si sente adatti e rispettati dalla comunità. 
Il simbolo permea la società e ne diventa così un codice persino utile: anni fa non ci si conosceva per strada, su internet o per amici comuni, le conoscenze erano dettate o dalla famiglia o da Dio e cosí le donne che entravano in chiesa con un velo bianco sul capo erano nubili, quelle che vi entravano con il velo nero sposate o vedove; con le prime, sul lato opposto della chiesa (all'epoca le donne siedevano sul lato sinistro e gli uomini sul destro), ci si poteva scambiare sguardi complici e gesti che diventavano codice viaggiante, inosservato perchè incompreso: così ci si innamorava.  
La gioventù d'oggi griderà allo scandalo sentendo di certe tradizioni, abitudini, simboli... i genitori o nonni ne difenderanno invece l'autentico romanticismo... non capendo, in realtà, entrambe le fazioni che i simboli e le tradizioni non sono scomparsi quanto cambiati, si sono evoluti, adattati, a città nuove e a gruppi nuovi... L'uomo cambia ed evolve eppure resta sempre lo stesso: il simbolo resta il cibo perferito di chi esercita i sentimenti.

lunedì 1 luglio 2013

Giornate, passano.

Ci sono giornate che passano, non importa con quanti impegni ed adempimenti... Passano. Di loro, alla sera, ciò che resta è un vuoto. Resta la consapevolezza che hai vissuto una giornata senza Viverla affatto. La sensazione che non ci sia stato niente di vero, di autentico, per te... Che tutto sia stato parziale, che ti sia mancato qualcosa, un momento Felice o Triste, per davvero. Anche solo Un momento di "trascurabile felicità". Un sorriso, delle parole, un gesto... niente. Niente che tu abbia avuto, niente che tu abbia dato.
Ti accorgi che manca un momento focale sul quale concentrarti prima di dormire.
Di punti di riferimento puoi averne, e anche tanti ed importanti, ma quest'oggi non ci Sono Stati. Tutti troppo lontani, troppo impegnati, troppo concentrati su sè stessi. Forse anche tu lo eri: nemmeno tu hai dato... Non un sorriso, non delle parole, non un gesto. E ti senti un po' in colpa. Ti esce quasi un "mi dispiace di non Esserci Stato oggi, nella tua giornata... Magari come avresti voluto".
Ma anche un po' arrabbiato: "perchè oggi non mi hai Guardato, nemmeno un po'?".
Ci sono giornate che vanno, passano...    


"Perduto è tutto il tempo che in amor non si spende" - Torquato Tasso

*Ancora su: La convenienza della riservatezza

Se ti sei perso la prima parte: La morale della riservatezza

Essere riservati in un rapporto d'amicizia, d'amore o in qualcosa che possa diventare o l'uno o l'altro è quanto meno poco conveniente (e non nel senso di disdicevole).
Sono dell'opinione che bisogna il più possibile essere Belli, con parole e fatti, là dove la bellezza si tinge di Umanità e, quindi di Sincerità ma mai di incoerenza. D'altro canto si deve essere sinceri con sé stessi oltre che con gli altri e questo comporta la grande saggezza di saper cambiare opinione e la grande forza di ammetterlo.
Essere riservati vuol dire, propriamente, non dire delle cose, ometterle o, in casi estremi, nasconderle. La domanda, come sempre, più grande da fare/rsi è: perchè? Perchè una persona dovrebbe gettare del riserbo su una questione, un fatto, un'opinione? Vergogna, paura di perdere qualcosa/qualcuno, di essere giudicati, non accettati, non volersi esporre, per non avere consigli o pareri inadeguati o forse per non ferire la persona che ci sta accanto? I motivi indubbiamente possono essere tanti, molti di più di quelli che possono venire in mente en passant.
Ciò che è certo però è che per quanto il motivo possa essere pesante ancor più grave sul groppone potrebbero risultare le conseguenze di un'atteggiamento simile. Infatti ciò che entra in ballo è la Conoscenza (La terza linea).
Farsi conoscere per ciò che si è significa certamente correre un rischio: "sono così, è questa persona che hai davanti, con i suoi pregi ed i suoi difetti, le sue forze e le sue debolezze".
Il rischio, appunto, è che all'altra persona potremmo non piacere. Ma la cosa peggiore viene sempre in omissione perchè ci precluderemmo la possibilità di migliorare, di crescere assieme, di imparare, di smussare i nostri angoli facendoli venir fuori o di far venir fuori, scoprendoci, parti di noi che non ci saremmo aspettati, pregi o difetti che siano, o, ancora, di scoprire che ciò che credevamo difetti o questioni problematiche del nostro passato e presente sono solo cose che ci arricchiscono.
Farsi conoscere per ciò che si è significa certamente mostrare più debolezze di quante vorremmo ma significa anche poter avere un'aiuto sincero ed adeguato da chi conosce te ed il tuo dolore.
Significa anche provare vergogna a volte ma anche ricevere vera comprensione, vero ed utile appoggio. 

Mostrare ciò che si è sicuramente significa perdere qualcuno o qualcosa a volte ma spesso significa trovare molto più di quanto si è perso perchè la sincerità ricambia sincerità. Cosa c'è di più bello di sentirsi accettati, capiti, apprezzati, compresi fino in fondo? 
è difficile aprire le porte della nostra mente, dei nostri pensieri e ricordi ma ciò che ne deriva non è sempre qualcosa di negativo. Nella vita bisogna saper rischiare, dalla grande saggezza popolare: "chi non risica non rosica", cioè chi non perde non prende. Perdere la propria compostezza, l'immagine di noi che ci piace mostrare significa perdere una maschera comoda e scomoda allo stesso tempo.
Parlare, liberarsi compiutamente significa perdere o guadagnare, dipende da molte discriminanti. Lo si può fare a convenienza certo, un po' è normale che sia così. Ma specialmente in Amicizia e in Amore non c'è convenienza che regga.

Sicuramente farsi conoscere significa conoscersi, cosa che molto spesso fa molta più paura. Ma, del resto, è davvero possibile perdersi?