mercoledì 10 aprile 2013

I "panni"


Cosa vuol dire “mettiti nei miei panni”? Sembra una cosa semplice ma molti fraintendono.
Molti pensano voglia significare “tu al posto mio cosa faresti?”. Sbagliato.  È più corretto “tu se fossi me, con i miei problemi, i miei precedenti, il mio carattere, le mie abitudini, le mie convinzioni cosa faresti?”. È  facile capire che non è una richiesta che si fa spesso per aver consiglio, quanto più per giustificare un comportamento. Ed è anche incredibilmente facile comprendere che, per poter fare una richiesta del genere, occorre che l’altra persona ti Conosca, ti Rispetti e ti Stimi.
È necessaria un’approfondita conoscenza perché bisogna pur conoscerli tutti quei problemi, quei precedenti, quel carattere (cioè quel “modo di reagire alle cose”), quelle abitudini, quelle convinzioni.
È assolutamente necessario il Rispetto. Sembra superfluo spiegare il perché di questa necessità, perché il rispetto è dovuto, a tutti. Posso non essere d’accordo  o persino non capire ciò che pensi, che dici e che fai ma dovrò rispettarti, per forza è una questione di democrazia e, si sa, il “demos” è bello perché è vario. Voltaire docet : “non credo nelle tue idee, ma lotterò fino alla morte perché tu possa esprimerle” .
Stima.  “Sono d’accordo” o più, semplicemente, “capisco”. La comprensione di un fatto o un atto slegata dal fatto di esservi concordi è cosa difficile. “Non l’avrei mai fatto o detto ma ti capisco”, è quasi un atto di Misericordia, anzi, probabilmente lo è in pieno.
E ancora quindi: è necessario mettersi in quei panni. Che non vuol dire altro che nella pelle, nel corpo, nella testa. 
Del resto i vestiti un po’ rappresentano pelle (cultura, abitudini, carattere), corpo (fisico, rapporto con sé stessi e con gli altri) e testa (ideologie, pensieri, umore, fatti di vita).
E allora: noi viviamo nel mondo, nel paese, nel gruppo, tra la gente. Gente varia con la quale condividiamo alcune cose e non altre, gente con la quale ci incontriamo, con la quale spesso Dobbiamo stare (in classe, in aula, in ufficio, al supermercato, nel condominio, in strada, in comitiva) ma se solo non temessimo la diversità, se solo la facessimo nostra, se solo fossimo consapevoli di essere noi stessi “uno, nessuno e centomila”, se solo fossimo "tolleranti" (vale a dire se aprissimo gli occhi là dove c'è da tenerli aperti e abbassassimo lo sguardo là dove il Rispetto ce lo impone), se solo ci fosse sinergia (dal greco "synerghìa", “collaborazione”, dove “energia” non significa altro che “agire” e “syn” non vuol dire altro che “insieme”)… Se agissimo l’uno Con l’altro e l’uno Per altro, per stare tutti bene, in un rapporto, in una questione, in un alterco… Se solo ci fosse l’abitudine di entrare nella pelle degli altri, di Tutti gli altri, proprio proprio tutti (omosessuale e l’uomo di chiesa, il bambino e l’adulto, l’amico e il conoscente, il morigerato e l’istintivo, l’estroverso e l’introverso…) e se non si avesse paura di farsi scoprire, di essere felici di parlare, di aprire il proprio mondo… antipatie, discussioni, liti e guerre esisterebbero ancora?

(È necessario. È un verbo che uso così spesso, me ne accorgo rileggendo tutte le mie, tante, parole. Ma è vero, di tutte queste Parole io sento la Necessità. )

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